Sabato scorso come Equipe Comunicazione abbiamo avuto l’opportunità di incontrare don Luca Peyron, direttore della Pastorale Universitaria di Torino e Piemonte, fondatore e coordinatore del Servizio per l’Apostolato Digitale dell’Arcidiocesi torinese, titolare della cattedra di Teologia della Trasformazione Digitale alla Cattolica di Milano, ideatore del neonato Centro italiano per l’Intelligenza Artificiale, solo per citare alcuni degli ambiti che lo vedono impegnato.
A noi si è presentato come don Luca, guida della parrocchia torinese della Madonna di Pompei, e ci ha regalato un racconto bello e articolato, un dialogo allegro e amichevole nel quale si è prestato a rispondere alle nostre domande e a narrarsi, spaziando dalle prime “smanettate” sul Commodore 64, alle esperienze come legale, dal lavoro in Irlanda fino ad arrivare alla scelta di entrare in seminario. Ne abbiamo ricavato una serie di spunti utili, per il nostro lavoro di Equipe e per le riflessioni di ognuno.
L’importanza di saper “matchare” il sapere
“All’inizio della mia carriera il punto vincente è stato proprio l’unire la tecnologia al diritto – ci ha spiegato don Luca – ed è così che sono stato incaricato dal CNR di essere uno dei sei giudici chiamati a pronunciarsi per il contenzioso italiano sul marchio d’impresa. Avere la curiosità di mettere insieme i saperi che altri non hanno mai matchato è profondamente cattolico, in quanto Cristo stesso lo è, poiché è Dio e uomo. E mettere insieme qualcosa di profondamente diverso è generativo”. Lo testimoniano tante sue esperienze e tra esse il lancio in orbita del satellite SpeiSat, contenente i discorsi e le letture della preghiera di Papa Francesco del 27 marzo 2020. Quando il 12 giugno 2023 la Chiesa ha scritto nella storia la sua prima missione spaziale, non sono mancati l’intuito e la disponibilità di Peyron: “non l’avrei mai pensato nella vita”, ma è accaduto, grazie a “una serie di situazioni a cui dici di sì”, ed è anche questo un modo per “mettersi al servizio della Provvidenza”.
Cosa significa comunicare da cattolici
Don Luca parte proprio dall’esempio del costruire un satellite e mandarlo nello spazio, per mostrare come sia necessario per prima cosa “essere aperti a qualunque tipo di chiamata che può essere generativa. Siamo un noi che fa cose e se ci si mette a disposizione del Signore non si sa cosa succede”. In secondo luogo “conoscere persone è la cosa più importante, non per usarle ma per vedere cosa genera, cosa scopri, chi incontri”. Infine, “lo Spirito Santo ti fa fare cose impossibili se ti rendi conto che sei un tramite, che le cose nascono perché c’è Lui alle tue spalle, e non ci sono limiti. Devi fare delle scelte e capire quali, capire se una cosa ha a che fare con il tuo ego o con il servizio. Prendi le carezze, prendi i colpi e poi non hai idea di quante cose straordinarie sei capace di fare”.
Il futuro della Chiesa ed in particolare dei giovani
Sul domani della Chiesa chiarisce che innanzitutto “bisogna provare a vedere quello che gli altri non vedono, a far parlare la realtà che ci circonda e ad ascoltare se sta cambiando. Si tratta di accorgersi di quello che gli altri non hanno visto”.
Prosegue: “La Chiesa non sta cambiando, è imballata. La Chiesa si cambia stimando il lavoro dell’altro, anche se non lo capisci. Poi è fondamentale raccontare la vita ad una comunità, avere a cuore le sedie vuote, preoccuparsi di chi non c’è, non di chi c’è. Raccontare anche gli assenti, non per colpevolizzarli. Ascoltare gli altri che non credono ti fa pensare con la testa di chi non è parrocchiano. I social sono una bolla che fa credere che tutti la pensino come noi. Bisogna avere il coraggio di provarci, anche a costo di beccare un rimprovero. Io ho deciso che non aspetto, aspetto di essere sgridato”.
L’Intelligenza Artificiale è una cultura
Il coraggio del rischiare porta anche ad esplorare terreni forse inaspettati per chi indossa l’abito talare, come quello dell’Intelligenza Artificiale, ma si deve proprio ad un post in Facebook di don Luca, nel 2020, la candidatura del capoluogo piemontese a divenire sede della Fondazione AI4Industry, centro italiano per l’Intelligenza Artificiale ufficialmente inaugurato lo scorso 3 maggio. “Nella storia della Chiesa è un fatto eclatante che essa si interessi all’AI” che, spiega, è una cultura per tre motivi: in primo luogo “è un modo di porsi nella realtà, è una tecnologia generica, come l’elettricità, potenzialmente è presente in tutto”; inoltre “agisce in modo sempre più autonomo, come un badile senza manico, ossia senza uomo”; da ultimo “condiziona fino alla radice l’antropologia: ad esempio l’algoritmo decide cosa ti piace, cosa compri, cosa leggi, ecc.”.
La vocazione sacerdotale
Ma ci sono decisioni su cui algoritmi e artificialità non hanno la meglio: don Peyron spiega che è entrato in seminario “perché mi sembrava di capire che Dio volesse questo per me. Non ciò che io voglio ma ciò che lui mi propone. È come quando sai che ci sono donne bellissime al mondo, ma ami lei perché lei è lei e nessun’altra”. E pur ricordando con affetto le ex fidanzate, sorride sereno perché “fare il parroco è veramente divertente, non c’è un giorno uguale ad un altro”.
Comunità di paese e di città
Chiediamo allora a questo parroco felice se sia diverso creare comunità in una città grande rispetto che in paesi piccoli. Ci risponde che “custodire i legami deboli è quello che ci chiedono questi tempi. Non appartenenze a gruppi riconosciuti, poiché è tutto molto più fragile. L’essere prete – spiega – segue il principio del boiler, il cui funzionamento si basa su una resistenza che scalda l’acqua che la circonda la quale, per i moti convettivi, riscalda il resto dell’acqua. Allo stesso modo il prete deve essere sufficientemente caldo per scaldare quelli più vicini a lui, che a loro volta scaldano gli altri. L’acqua è quella a disposizione, cerchiamo Dio nello stesso modo, a Milano come sul Monte Bianco”.
Conclude: “Il crollo delle ideologie fa sì che ci sia una parola dei cristiani e della Chiesa che è attesa, ma non possiamo improvvisare, dobbiamo dire cose che intercettano un bisogno. Non è più tempo della delega ma del fare insieme. Riprendiamoci le responsabilità che abbiamo. C’è il desiderio di ascoltare una parola positiva, ed è una grande chance”.
La nostra Equipe ha accettato la sfida, e voi?
Daniela Regonesi