L’omelia di S.E. Mons. Mario Delpini alla Santa Messa del Miracolo, celebrata dall’Arcivescovo la mattina della Festa in Santuario.
Portando la croce, Gesù si avviò verso il luogo detto del cranio, dove lo crocifissero. In quell’ora tragica si decreta la fine di un uomo innocente e insopportabile per i padroni della città. Ecco, ormai è finita. Va a morire da solo, Nazareno, re dei Giudei. Ormai tutto è finito e forse questa impressione dell’ineluttabile circonda la comunità cristiana anche oggi. Anche nel nostro tempo si pensa ormai la Chiesa è finita, il cristianesimo non interessa più a nessuno. Anche i vostri figli, anche i vostri nipoti, non hanno alcun interesse a incontrare Gesù, morto chissà quanto tempo fa. I vostri monumenti, i vostri santuari, le vostre tradizioni sono una parte del paesaggio, sono opere d’arte interessanti, sono manifestazioni folcloristiche popolari, ma non c’è nessun interesse a comprendere quali siano le ragioni per cui sono stati costruiti. […] Intorno alla croce di Gesù, come dice il Vangelo, sono rimaste poche donne e il discepolo amato, come per confermare che l’esito della storia è ormai scritto, che tutto finisce ineluttabilmente nel nulla. Invece, proprio lì, proprio in quell’ora tragica, giunge a compimento la rivelazione della via da percorrere, del futuro da costruire, l’inizio della storia della Chiesa. […] Così, anche nell’alba tragica dell’assedio di Treviglio, l’evento è stato il pianto di Maria.
Due segni della vocazione di Gesù
Nella desolazione, nell’indifferenza, nella condizione contemporanea, quale sarà il segno di una svolta? Come potremmo dire che il cristianesimo non è finito, ma sta preparandosi un nuovo inizio? Non abbiamo altro segno che il segno della croce, la Pasqua di Gesù. Siamo chiamati a viverla non come un rito che si ripete, ma come una vocazione che ci chiama. Questa vocazione, come il Vangelo di oggi suggerisce, ci raggiunge con due segni. Gesù, dalla croce, la madre e il discepolo, e affida loro una missione. Indica a queste due persone il principio di una nuova modalità di relazione fondata sulla parola di Gesù. [..] Niente di nuovo può nascere se non dalla parola di Dio, che crea, che chiama, che illumina.
La predicazione della Novena ha avuto tanto seguito quest’anno, come negli anni precedenti. È stata un’occasione benedetta. Ma ora si tratta di assumerne la responsabilità. La predicazione non è una predicazione, una proposta di buoni sentimenti rivolta a una massa informe, ma è una parola che ti chiama, che si rivolge a ciascuno, che diventa vocazione. E dunque, quale parola è giunta a me, è giunta a te, come parola personale? Come la mia vocazione? Come l’indicazione di una missione da compiere? Basterà una parola, una frase, un’immagine, ma questa è la parola che può dare inizio a una storia nuova. Questo è il primo aspetto, è il primo segno che comincia una storia nuova.
Il secondo segno di questo evento fondativo è l’obbedienza del discepolo di cui il Vangelo parla. Da quell’ora il discepolo l’accoglie, cioè la parola di Gesù fa nascere una nuova relazione, una comunità, in cui la tradizione, forse rappresentata da Maria, e il futuro, forse rappresentato dal discepolo amato, convivono. La comunità in cui le generazioni si incontrano. La comunità in cui i popoli si riconoscono, chiamati alla fraternità nel nome del Signore, da qualsiasi parte del mondo vengano. L’evento della Novena è un segno che diventa un interrogativo inquietante. Ma davvero sono stati accolti tutti? Non solo i devoti di sempre, ma gli altri: quelli che vengono da altri paesi, quelli che appartengono alle giovani generazioni, quelli che prima venivano e non vengono più?
La missione di oggi
Ecco che cosa celebriamo. La gratitudine per il miracolo che ha salvato Treviglio più di 500 anni fa, ma anche la responsabilità della missione da compiere in questo tempo. In questo tempo l’assedio non è più un esercito armato spaventoso e invincibile. Siamo piuttosto assediati dall’indifferenza, dall’insignificanza, dalla rassegnazione all’inevitabile declino. Questo è l’assedio che circonda oggi la città, la comunità, la Chiesa. Ma noi siamo qui a celebrare non una diagnosi dei mali presenti, ma piuttosto l’evento che può essere l’inizio di percorsi inediti. Come inizia l’inedito? Inizia perché Gesù si rivolge a due persone, si rivolge a ciascuno, a chi ha la parola, e chi riceve la parola si decide all’obbedienza. Ecco dunque la domanda. Ma allora Gesù chiama me? Ecco l’inizio: Eccomi!